Terzo disco per il cantautore abruzzese Paolo Tocco che torna in scena dopo l’ottimo Il mio modo di ballare (Cramps, 2015), selezionato tra le migliori 50 opere in assoluto dal Club Tenco. Ho bisogno di aria, uscito lo scorso 17 novembre per IRMA Records, racchiude già nel titolo i riferimenti e le necessità che lo hanno ispirato: canzoni di rivalsa, di rabbia, canzoni che hanno l’urgenza di liberarsi da tantissima ipocrisia e finzione che oggi impera nella vita quotidiana. Dalle televisioni ai social, dal giorno qualunque alle istituzioni dei palazzi di governo. Si delinea un vissuto sempre più di apparenze e di facciate lucidate a dovere per lo spettacolo che serve ad indottrinare il popolo tutto, più che a restituire contenuti e messaggi di valore. Siamo inondati di superficialità e prodotti e ancor peggio siamo circondati dai santi professori del tutto. Ho bisogno di aria è dunque un grido di evasione e di sfacciata pretesa di voler tornare a certi valori e certi significati. Non è un messaggio questo che punta al passato ma probabilmente sarà un nuovo futuro che ci attendo… o almeno si spera. Dal punto di vista musicale Ho bisogno di aria è un bisogno di tornare alle radici. Ed ecco quindi i suoni rapiti al momento, le improvvisazioni strumentali dei musicisti, dettagli poco precisi… un plug & play di tantissimo istinto e di pochissimo ragionamento. Un lavoro quasi interamente registrato dal vivo che invita all’ascolto intimo e riflessivo, quello spirituale e non estetico, quello di chi dalla vita cerca la semplicità dell’incontro più che lo sfarzo della competizione di scena. Ho bisogno di aria è anche un romanzo in uscita per Lupi Editore in contemporanea con il disco. Una diapositiva cruda e a tratti volgare di quella vita quotidiana di provincia, un poco ai margini e un poco comune a molti che ostentano invece moralità e benessere, quella vita fatta e vissuta dentro le righe di quei retroscena segreti e assai piccanti di un protagonista che – per omaggio al grande Bukowski da cui Paolo Tocco attinge a piene mani – si chiamerà Henry. Un linguaggio quindi poco strutturato, una scrittura diretta e – manco a dirlo – pronta a celebrare l’istinto come unico vero collante su tutti i fronti.

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